mercoledì 27 agosto 2008

Secondo giorno - Dopo vespri

Dove, malgrado il capitolo sia breve, il vegliardo Alinardo
dice cose assai interessanti sul labirinto e sul modo di
entrarvi





Mi risvegliai che suonava quasi l'ora della mensa serale. Mi sentivo intorpidito dal sonno, perché il sonno diurno è come il peccato della carne: più se ne è avuto più se ne vorrebbe, eppure ci si sente infelici, sazi e insaziati allo stesso tempo. Guglielmo non era nella sua cella, evidentemente si era levato molto prima. Lo trovai, dopo un breve errare, che usciva dall'Edificio. Mi disse che era stato allo scriptorium, sfogliando il catalogo e osservando il lavoro dei monaci nel tentativo di avvicinarsi al tavolo di Venanzio per riprendere l'ispezione. Ma che per un motivo o per l'altro, ciascuno pareva intenzionato a non lasciarlo curiosare tra quelle carte. Prima gli si era avvicinato Malachia, per mostrargli alcune miniature di pregio. Poi Bencio lo aveva tenuto occupato con pretesti di nessun valore. Dopo ancora, quando si era chinato per riprendere la sua ispezione, Berengario si era messo a girargli intorno offrendo la sua collaborazione.
Infine Malachia, vedendo che il mio maestro pareva seriamente intenzionato a occuparsi delle cose di Venanzio, gli aveva detto chiaro e tondo che forse, prima di frugare tra le carte del morto, era meglio ottenere l'autorizzazione dell'Abate; che lui stesso, pur essendo il bibliotecario, se ne era astenuto, per rispetto e disciplina; e che in ogni caso nessuno si era avvicinato a quel tavolo, come Guglielmo gli aveva chiesto, e nessuno vi si sarebbe avvicinato sino a che l'Abate non fosse intervenuto. Guglielmo gli aveva fatto notare che l'Abate gli aveva dato licenza di indagare per tutta l'abbazia, Malachia aveva domandato non senza malizia se l'Abate gli aveva anche dato licenza di muoversi liberamente per lo scriptorium o, Dio non volesse, la biblioteca. Guglielmo aveva capito che non era il caso di impegnarsi in una prova di forza con Malachia, anche se tutti quei movimenti e quei timori intorno alle carte di Venanzio gli avevano naturalmente fortificato il desiderio di prenderne conoscenza. Ma tale era la sua determinazione di ritornare colà di notte, non sapeva ancora come, che aveva deciso di non creare incidenti. Covava però evidenti pensieri di rivincita che, se non fossero stati ispirati come erano alla sete di verità, sarebbero apparsi molto ostinati e forse riprovevoli.
Prima di entrare in refettorio, facemmo ancora una piccola passeggiata nel chiostro, per dissolvere i fumi del sonno all'aria fredda della sera. Vi si aggiravano ancora alcuni monaci in meditazione. Nel giardino prospiciente il chiostro scorgemmo il vecchissimo Alinardo da Grottaferrata, che ormai imbecille nel corpo, trascorreva gran parte della propria giornata tra le piante, quando non era a pregare in chiesa. Sembrava non sentire freddo, e sedeva lungo la parte esterna del porticato.
Guglielmo gli rivolse alcune parole di saluto e il vecchio parve lieto che qualcuno si intrattenesse con lui.
“Giornata serena,” disse Guglielmo.
“Per grazia di Dio,” rispose il vecchio.
“Serena nel cielo, ma scura in terra. Conoscevate bene Venanzio?”
“Venanzio chi?” disse il vecchio. Poi una luce si accese nei suoi occhi. “Ah, il ragazzo morto. La bestia si aggira per l'abbazia...”
“Quale bestia?”
“La grande bestia che viene dal mare... Sette teste e dieci corna e sulle corna dieci diademi e sulle teste tre nomi di bestemmia. La bestia che pare un leopardo, coi piedi come quelli dell'orso e la bocca come quella del leone... Io l'ho vista.”
“Dove l'avete vista? In biblioteca?”
“Biblioteca? Perché? Sono anni che non vado più nello scriptorium e non ho mai visto la biblioteca. Nessuno va in biblioteca. Io conobbi coloro che salivano alla biblioteca...”
“Chi, Malachia, Berengario?”
“Oh no...” il vecchio rise con voce chioccia. “Prima. Il bibliotecario che venne prima di Malachia, tanti anni fa...”
“Chi era?”
“Non mi ricordo, è morto, quando Malachia era ancora giovane. E quello che venne prima del maestro di Malachia ed era aiuto bibliotecario giovane quando io ero giovane... Ma nella biblioteca io non misi mai piede. Labirinto...”
“La biblioteca è un labirinto?”
“Hunc mundum tipice laberinthus denotat ille,” recitò assorto il vegliardo. “Intranti largus, redeunti sed nimis artus. La biblioteca è un gran labirinto, segno del labirinto del mondo. Entri e non sai se uscirai. Non bisogna violare le colonne d'Ercole...”
“Quindi non sapete come si entra nella biblioteca quando le porte dell'Edificio sono chiuse?”
“Oh sì,” rise il vecchio, “molti lo sanno. Passi per l'ossario. Puoi passare per l'ossario, ma non vuoi passare per l'ossario. I monaci morti vegliano.”
“Sono quelli i monaci morti che vegliano, non quelli che si aggirano di notte con un lume per la biblioteca?”
“Con un lume?” Il vecchio parve stupito. “Non ho mai sentito questa storia. I monaci morti stanno nell'ossario, le ossa calano a poco a poco dal cimitero e si radunano lì a custodire il passaggio. Non hai mai visto l'altare della cappella che reca all'ossario?”
“E' la terza a sinistra dopo il transetto, è vero?”
“La terza? Forse. E' quella con la pietra dell'altare scolpita con mille scheletri. Il quarto teschio a destra, spingi negli occhi... E sei nell'ossario. Ma non ci vai, io non ci sono mai andato. L'Abate non vuole.”
“E la bestia, dove avete visto la bestia?”
“La bestia? Ah, l'Anticristo... Egli sta per venire, il millennio è scaduto, lo attendiamo...”
“Ma il millennio è scaduto da trecento anni, e allora non venne...”
“L'Anticristo non viene dopo che sono scaduti i mille anni. Scaduti i mille anni inizia il regno dei giusti, poi viene l'Anticristo a confondere i giusti, e poi sarà la battaglia finale...”
“Ma i giusti regneranno per mille anni,” disse Guglielmo. “O hanno regnato dalla morte di Cristo sino alla fine del primo millennio, e quindi è allora che doveva venire l'Anticristo o non hanno ancora regnato, e l'Anticristo è lontano.”
“Il millennio non si computa dalla morte di Cristo ma dalla donazione di Costantino. Ora sono i mille anni...”
“E allora finisce il regno dei giusti?”
“Non lo so, non lo so più... Sono stanco. Il calcolo è difficile. Beato di Liébana lo fece, chiedi a Jorge, egli è giovane, ricorda bene... Ma i tempi sono maturi. Non hai udito le sette trombe?”
“Perché le sette trombe?”
“Non hai sentito come è morto l'altro ragazzo, il miniatore? Il primo angelo ha dato fiato alla prima tromba e ne venne grandine e fuoco misto a sangue. E il secondo angelo ha dato fiato alla seconda tromba e la terza parte del mare divenne sangue...Non è morto nel mare di sangue il secondo ragazzo? Attenti alla terza tromba! Morirà la terza parte delle creature viventi nel mare. Dio ci punisce. Il mondo tutto intorno all'abbazia è infestato dall'eresia, mi han detto che è sul trono di Roma un papa perverso che usa delle ostie per pratiche di negromanzia, e ne nutre le sue murene... E da noi qualcuno ha violato l'interdetto, ha rotto i sigilli del labirinto...”
“Chi ve lo ha detto?”
“L'ho udito, tutti sussurrano che il peccato è entrato nell'abbazia. Hai ceci?”
La domanda, diretta a me, mi sorprese. “No, non ho ceci,” dissi confuso.
“La prossima volta portami dei ceci. Li tengo in bocca, vedi la mia povera bocca senza denti, sinché non si ammollano tutti. Stimolano la saliva, aqua fons vitae. Domani mi porterai dei ceci?”
“Domani vi porterò dei ceci,” gli dissi. Ma si era assopito. Lo lasciammo per andare in refettorio.
“Cosa pensate di ciò che ha detto?” domandai al mio maestro.
“Egli gode della divina follia dei centenari. Difficile distinguere il vero dal falso nelle sue parole. Ma credo che ci abbia detto qualcosa sul modo di penetrare nell'Edificio. Ho visto la cappella da cui è uscito Malachia la notte scorsa. Vi è davvero un altare di pietra, e sulla base sono scolpiti dei teschi, stasera proveremo.”

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